la Gestione del Lupo nello Yellowstone

Art. tratto dal Corriere della Sera (10 febbraio 2002)


Nella grande riserva americana da sessant' anni l' animale era stato soppresso perché giudicato erroneamente dannoso. L' assenza, invece, provocava guai


Torna il lupo e rinasce il Parco di Yellowstone


La sua azione predatrice ha stabilito un nuovo equilibrio ecologico tra animali e piante. La caccia non è mai casuale ma tende ad eliminare sempre i più deboli


Sono sette anni, dopo una sessantina di assenza, che sono tornati i lupi nel parco di Yellowstone (Usa). L' unico lupo buono, si diceva da quelle parti, è quello morto, così allevatori e (sembra incredibile) personale del parco cooperarono per farli fuori tutti. Il parco però senza lupi non funzionava: troppi erbivori, soprattutto troppi cervi e, di conseguenza, un eccessivo impatto sulla vegetazione. Poi, si sa, uno squilibrio tira l' altro. S' è capito, infine, che è quello vivo il lupo buono. Così, nel 1995, avvenne la reintroduzione, e in questi sette anni non solo le popolazioni delle prede si sono considerevolmente ridimensionate, ma il ritorno del lupo ha anche determinato interessanti cambiamenti nella demografia di altri predatori. Di ciò qualcosa si può capire guardando cosa succede quando, dopo una predazione, la muta abbandona ciò che resta della carcassa e, essendoci ancora di che nutrirsi, arrivano altri commensali. Certi, come l' orso e il tasso, raramente; altri, come il coyote, la volpe, un paio di specie di aquile e alcuni corvidi, abitualmente. L' effetto, soprattutto, s' è sentito sulle aquile e sul coyote. Le popolazioni di quest' ultimo si sono drasticamente ridotte, mentre c' è stato un incremento in quelle di aquile. Ed ecco la spiegazione. Il lupo tende, se può, a eliminare i suoi competitori alimentari, ma mentre girare attorno alla carcassa è un rischio vero per il coyote, le aquile, che possono sfuggire volando, praticamente banchettano gratis. Si tratta, in fin dei conti, di una questione di costi e benefici. Mentre il piccolo canide paga caramente il ritorno del lupo, per le aquile quel ritorno significa puramente un incremento delle risorse. Quanto descritto un poco già ci illustra quanto possano essere complesse le relazioni tra le specie, ma parlare solo di numeri sarebbe, in ogni caso, riduttivo. Riferendoci ancora alle famose carcasse, c' è da dire che si potrebbero incontrare anche altri visitatori abituali: i biologi del parco. Seppure per motivi differenti, anche loro vanno a caccia di resti: delle carcasse studiano lo stato dei denti, fanno prelievi di midollo osseo e di vari tessuti. Puntano, in definitiva, a sapere tutto delle prede, e ciò per comprendere le scelte dei lupi. Non c' è infatti casualità nella loro predazione, bensì il prelievo ha regole statisticamente precise: un buon numero di giovani quando è la stagione e poi individui vecchi, oppure malati. Ciò che è certo è che i lupi di Yellowstone non predano mai il primo che passa, ma studiano la mandria e scelgono in modo che, in definitiva, risulta essere il più vantaggioso sia per loro che per la salute e l' equilibrio delle stesse popolazioni predate. E ciò che fanno i lupi lo fanno un po' tutti i predatori. Il falco pellegrino saggia con finti attacchi la gran nuvola nera formata da migliaia di storni che volano compatti, o di anatre o di colombi selvaggi. La strategia antipredatoria consiste nello stare uniti; quella predatoria nel far uscire dal volo l' individuo troppo pauroso, troppo debole, troppo qualcos' altro. Sarà lui la vittima designata, e non sarà per caso. L' evoluzione insieme (coevoluzione) ha raffinato comportamenti tesi a mantenere in equilibrio e in salute sia le popolazioni delle prede che quelle dei loro predatori. E' affascinante scoprire come anche i primitivi cacciatori umani abbiano saputo darsi culturalmente regole non dissimili da ciò che i predatori fanno per istinto. Non solo i loro numeri erano calibrati sulla dimensione e produttività dei loro territori, ma culturalmente ogni popolazione di cacciatori primitivi ha evoluto abitudini e norme tali da preservare la qualità e quantità delle specie predate. I boscimani del Kalahari, per esempio, saggiavano l' efficienza delle antilopi inseguendole a lungo, con grande costo energetico per prede e cacciatori. Solo quelle che davano segno di non farcela, che in qualche modo si arrendevano, venivano poi colpite dalle frecce.
Mainardi Danilo
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(10 febbraio 2002) - Corriere della Sera